ARPEPE, la montagna incantata - Slow Wine
ARPEPE, la montagna incantata
Slow Wine, Paolo Camozzi e Paolo Nozza, 21 marzo 2023
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Una profonda connessione lega i Pelizzatti Perego con le balze valtellinesi, terrazzi che sdirupano a capofitto sulla vallata dell’Adda, ultimo lembo della placca alpina a fronteggiare le Orobie che già sono incipit di mediterraneità. Storia di luoghi e persone, lavoro e fatica; storia di commercio florido con la vicina Svizzera e il Nord Europa; storia di cultura rurale percorsa da momenti di splendore, declino e rinascita (basti pensare ai 6000 ettari di metà Ottocento rapportati agli attuali ottocento); storia di affinità elettiva con il nebbiolo – in loco la Chiavennasca – e il suo peculiare legame con le Alpi.

Dentro a queste storie, si staglia l’esperienza della famiglia dei Pelizzatti, oggi impersonata da Emanuele, Isabella e Guido, e divenuta negli ultimi lustri la cantina di riferimento nei discorsi degli appassionati di vino di mezzo mondo.
Un passo indietro ci porta alla figura di Arturo, padre degli attuali proprietari, ma anche di una visione di guardare al vino di Valtellina nel suo disegno più tradizionale e autoriale, di cui è stato esponente e maestro.
Le iniziali del suo nome – Ar.Pe.Pe. – danno il titolo all’azienda, fondata nel 1984 dopo un intermezzo di oltre 10 anni di allontanamento dalla scena produttiva coinciso con la vendita di cantina e marchio storico. La ripartenza, appunto, con un altro nome, ma che in fin dei conti era il suo, è guidata dal bisogno di tornare alla terra, di desistere al ruolo di commerciante che gli era divenuto stretto, di ribadire a se stesso e al mondo la sua vera attitudine. Nel 1987 ricompra la cantina e poco a poco altri vigneti.
Il destino vuole che Arturo scompaia prematuramente nel 2004 lasciando a noi una manciata di etichette enigmatiche che si sono tramutate negli anni a seguire in certezza di visione e approccio al vino e al mondo. Ai figli, invece, in particolare all’allora giovanissimo Emanuele, frontman produttivo in famiglia, lascia il solco profondo dettato da silenzi e qualche incomprensione generazionale, ma soprattutto consegna la fiammella accesa, ormai incandescente, del riscatto e della rinascita identitaria dei vini di Arturo. I tre eredi non solo la raccolgono, ma ne fanno una vera e propria dottrina esortata da determinazione, impegno e dedizione sui generis.
Il tutto lo si coglie nel saliscendi tra le terrazze del Buon Consiglio, Rocce Rosse, Sant’Antonio Sesto Canto, Nuova Regina, ma anche nelle parole di Emanuele che aiutano a capire il progetto e lo sforzo di rendere attuale una storia secolare di radicamento con terra, roccia e nebbiolo. Le trasformazioni e gli investimenti in corso ad ARPEPE rimarcano il segno della volontà attuale della famiglia di rimettere in discussione profondamente il significato del termine terroir, dove il fattore umano è fondamentale per estrarre dalla terra un frutto coerente e contemporaneo, oltre la retorica della tradizione. I vini sono, infatti, rivelativi di uno stile contingente che si ispira alle tracce di Arturo, ma che accoglie curiosità, ossessione tecnica nel rapporto col vigneto, aderenza ad una Valtellina anch’essa più aperta e consapevole.

In cantina i lavori di trasformazione, ancora oggi in corso, impressionano non tanto gli appassionati di estetica architettonica, quanto gli addetti ai lavori nella produzione di vino. Maniacale è l’aggettivo che viene facile usare, ma dietro a questo approccio esigente troviamo più che altro il bisogno di Emanuele di avere totale controllo di ogni singola fase produttiva; un’indole intima (chiedetegli conto di come sin da piccolo rimaneggiava i motori delle automobiline elettriche per gareggiare e possibilmente vincere con gli amici) attraverso cui padroneggia una materia prima strappata con fatica alle rocce soprastanti la cantina.
Osservare con stupore la fila delle grandi botti di fermentazione tra cui le sei storiche degli anni Sessanta totalmente rinnovate, con sistema di controllo della temperatura con tanto di centralina ultra sofisticata per ciascuna di esse, le pompe di movimento del liquido dedicate ad ogni singola vasca, la rete di distribuzione del gas inerte per colmare tutte le botti e proteggere in tal modo la vita dei vini durante la sosta, sempre molto lunga sulle bucce, e di seguito il loro affinamento. Altrettanto intransigente il lavoro svolto sui tappi, minuzioso instancabile e definitivo tassello per poter consegnare ai posteri un liquido che sia puro, intoccato da pratiche enologiche irrispettose. E infine, o meglio, all’origine del tutto, la cura dei terrazzamenti vitati, memoria antica e vero giacimento di preziose possibilità che ARPEPE affida a osservazione, restauro, rigenerazione, rispetto.
Tanta tecnologia quindi, tantissimo sforzo di progetto e di economie, tutto per tornare alla radice che è quella di un’idea di aderenza territoriale, di un vino che rappresenti terra, piante, uomini, clima, società. In questo disegno non c’è tradimento né hybris, c’è coerenza e voglia di seminare e coltivare bellezza.

LE DEGUSTAZIONI
Abbiamo svolto due sessioni distanziate tra loro nel tempo, in entrambi i casi incuriositi dalla voglia di approfondire l’intimità evolutiva dei vini di ARPEPE. Tre i vini scelti per disponibilità delle annate, per generosità di Emanuele e Isabella. La degustazione del 21 gennaio 2023 ha preso forma anche grazie alla cortesia di alcuni appassionati che hanno portato bottiglie antiche direttamente dalle proprie cantine. In questa data, presso il Ristorante Trippi, ci si è focalizzati su due anime della Sassella: Stella Retica e Rocce Rosse.
Un salto indietro al 16 marzo 2022, invece, per la verticale svolta in azienda, di Grumello Buon Consiglio.
Di seguito impressioni e commenti liberi, senza filtri. In grassetto le bottiglie che ci hanno più sorpreso.
VALTELLINA SUPERIORE SASSELLA STELLA RETICA
È il Sassella che prende forma dall’osservazione scrupolosa in cantina nelle annate in cui non viene intrapresa la strada delle singole vigne.
2000, ha un profilo vegetale caldo, con intriganti note mediterranee, prugna poi agrume. Bocca dolce e risolta, più sale che acidità, tannino levigato.
2004, polposo e denso, colore scuro. Frutto ancora integro e roccioso, accanto al sale. Acidità viva e bella spalla.
2006, serio, solare muscoloso, polpa nitida ben distribuita, grande equilibrio meccanico. Ipnotico.
2010, legno dolce, speziato, sottobosco, richiami di radice e terra. Maggiore energia in bocca, con richiamo un po’ evoluto.
2011, vino apparentemente freddo, frutto compresso, ma non serrato. La bocca è imperiosa, alterna rugosità tannica a scaglie di sale con un finale di frutto che sorprende. Vichingo.
2012, profilo fresco e aggraziato, mora, arancia rossa, metallo. I tannini sono minuziosi e il sorso leggero. Spensierato.
2015, calore, frutto dolce poi tocco vegetale, elicriso, quasi garrigue rodanesca. Bocca persino semplice e sbarazzina.
2017, ha leggiadria del Rosso di Valtellina, ma con più spigoli. Un falsomagro. Ha fibra tesa e frutto nervoso. In cammino.
2019, potente, frutto brillante che non ha nulla di opulento, con anima montanara. Lunga strada davanti a sé.
VALTELLINA SUPERIORE SASSELLA RISERVA ROCCE ROSSE
È il vino dell’avvio e della ripartenza, nel 1984, narrativo di uno stile impenetrabile e anticonformista. Prende forma ogni tanto, dopo sei anni di studio e attesa, evidenziando l’energia granitica della Sassella.
1996, balsamico, eucalipto, cuoio, cacao, salmastro che richiamo all’ostrica. Vino strano (Emanuele dice bottiglia problematica, per me ha fascino da vendere). Bocca divisa tra frutto teneramente decadente e acidità viperina. Vivo seppur canuto.
1999, nota vegetale, senape, rugginoso. Bocca tesa, si scurisce con l’aria. Incazzoso.
2001, partenza animale, selvatico, poi frutto arrostito, pietra calda, solido e compatto in bocca. Si allunga sui tasti più rigidi.
2002, esotico, sfacciato, una star del cinema con tutto, tanto, bello. Esuberante ma anche leggiadro, potente ma elegante. Talmente completo e sferico da sembrare irreale e invece fa capriole nel bicchiere per tutta la serata.
2005, nebbiolo di montagna, agrume, acqua di fonte, china, ferro, vegetale e poi frutto. Tanta roba in valigia, corredo di sale e acidità per andare lontano. Aspettare.
2007, caldo, materico, sottobosco, confettura di prugna. In bocca però è frenato, non si distende.
2009, luminoso, frutto rosso piccolo e scattante, poi una piccantezza agrumata tipo buccia di cedro, cenni speziati da bazar orientale. In bocca ha potenza ma riesce ad essere amichevole.
2013, incenso, sandalo, legno dolce, mora matura. Vino carnoso e suadente, nerbo tannico giovanile ma di estrema grazia.
2016, di nuovo le spezie orientali su un frutto più fresco tipo la ciliegia, nota di carne, sangue e roccia. Bocca calda e profonda, grande controllo di tutti gli elementi, duri e morbidi. Idea di compattezza da asteroide. Vita lunga.
VALTELLINA SUPERIORE GRUMELLO RISERVA BUON CONSIGLIO
Le vigne puntano alla cantina, quasi a proteggerla con i suoi terrazzi imponenti che sfiorano i 7 metri di altezza, o a raccomandare di fare buon uso delle uve ne deriveranno, frutto di eccezionali escursioni termiche.

1999, molto sfaccettato, apre quasi inavvertibile per poi lasciarsi su note metalliche, cenere, fiori secchi. Acidità vibrante, freschezza al sorso oltre le aspettative.
2001, riflessi dolci al naso, più complessità, ematico tipico valtellinese; bocca slanciata, sugosa, completa. Un capolavoro di finezza.
2005, la prima annata vinificata interamente in legno. Caldo per coerenza all’annata, arricchito di sfumature iodate e di grande eleganza. Bocca di impatto poderoso, ma chiude con leggiadria varietale.
2007, tipicità valtellinese, ruggine, bosco, limpido. Bocca coerente, ingentilita da morbidezza. Beva trionfale.
2009, fresco, pulito, mediterraneo, legno dolce; palato sussurrato e intrigante, da vecchio stile valtellinese. Godibilissimo; decisamente da attendere.
2013, dà l’avvio alla strada delle lunghissime macerazioni, 83 giorni per l’esattezza. Apre lievemente chiuso, nota di ruta e genziana che si evolve su riflessi tropicali molto eleganti. Sorso convincente, ma ancora molto giovane.
2016, sono oltre 100 i giorni di macerazione, per una versione fin da subito luminosa e brillante. Stupisce per freschezza del frutto, equilibrio tannino, acidità, alcol. Leggendario già da ora.
1964, in coda un fuori serie che ha ancora tanto da dire. Intrigante il richiamo animale ed esotico che rimanda per affinità ad alcuni grandi Brunello. Vitalità e succo fuori misura.